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Obiettivo Cina

Ci sono dei novelli Marco Polo in azione. Sono i grandi gruppi vinicoli, ma spesso anche le più dinamiche ed intraprendenti medio-piccole aziende, che sempre più numerosi attraversano l’Asia per portare i loro vini ai consumatori cinesi. Anche se la Cina non è né così vicina (il volo Milano-Pechino dura circa 15 ore), né così semplice da approcciare, certamente è il mercato del momento. Non fosse altro per i numeri enormi del più popoloso paese del pianeta (un miliardo e 400 milioni di abitanti all’ultimo rilevamento), ma soprattutto perché i cinesi stanno cominciando ad apprezzare gusti e modelli all’occidentale, forti anche di un aumento considerevole di benessere e ricchezza. Ed il vino, il buon vino, è uno di questi. Da alimento, sta diventando per i cinesi, uno status symbol, un segno di lusso e prestigio sociale, ed i vini pregiati sono uno dei più apprezzati e ricercati, tanto che la Cina è addirittura il primo importatore al mondo per vini di pregio. Secondo il quotidiano cinese China Daily, nel primo semestre del 2012, la Cina ha importato oltre 200 milioni di litri di vini occidentali (+12% rispetto al 2011), per un controvalore di oltre 1,1 miliardi di dollari (+24,1% rispetto al 2011). I vini stranieri rappresentano ben un terzo dell’intero mercato cinese; tra il 2006 ed il 2010 si è passati da 114 milioni di litri ad oltre 283 milioni di litri di vino importato, con un incremento di oltre il +65%. Un po’ troppo, almeno secondo produttori locali, che hanno chiesto al Ministero del Commercio di aprire un’inchiesta proprio per valutare se le importazioni di vino dall’Europa stiano danneggiando, e in quale misura, l’industria nazionale. Anche perché in fatto vino, imparando pian piano dagli europei, francesi in primis ma anche italiano, stanno facendo grandi passi avanti. Come il “Jia Bei Lan”, un cabernet sauvignon prodotto nello Ningxia, sperduta regione settentrionale cinese ai confini con la Mongolia interna diventata sinonimo di vini cinesi di qualità, vincitore di prestigiosi premi internazionali. Ed in una recente degustazione il vino cinese, sempre proveniente dallo Ningxia, è stato giudicato addirittura migliore del più rinomato e conosciuto prodotto francese di Bordeaux. Vini eccellenti, quindi, e a prezzi abbordabili (siamo fra i 25 e i 45 euro, contro i francesi che invece, vuoi anche per gli altri tassi di importazione, raggiungono cifre astronomiche). Le domande che si pongono, a questo punto, sono due: riusciranno i vini italiani a conquistare il mercato cinese? E dall’altro verso, quali sono le reali potenzialità e rischi dei vini cinesi di invadere il nostro mercati? A rispondere abbiamo chiamato, in questo vero e proprio “focus Cina”, quattro esperti: il direttore di Veronafiere, la casa madre del Vinitaly, Giovanni Mantovani, il direttore export del Gruppo Santa Margherita Massimo Tonini, il professor Attilio Scienza, presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Università degli Studi di Milano, e Giovanni de Sanctis, ex responsabile IPR Desk a Pechino del Ministero dello Sviluppo Economico Dipartimento per l’Impresa e l’Internazionalizzazione. Come al solito, buona lettura.

 

 

 

Giovanni Mantovani
Direttore generale di Veronafiere

“L’appeal del made in Italy è forte in Cina,
ma bisogna investire in termini
di promozione e marketing”

“Secondo gli analisti, entro il 2020 quello cinese diventerà il primo mercato di consumo di vino, quindi le opportunità per i produttori italiani ci sono. Certo non ci si può improvvisare, perché la grande estensione del territorio, la diversa cultura commerciale, ma anche le regole di importazione richiedono competenze specifiche. La nota dolente è che l’Italia è partita in ritardo rispetto ad altri competitor, tanto che su 100 bottiglie di vino importate in Cina solo 6 arrivano dal nostro Paese, mentre più della metà sono francesi quando a livello di scambi mondiali siamo i primi esportatori con una quota di mercato del 22%. Le aziende francesi, in particolare, sono presenti da molti anni, hanno lavorato tanto sulla promozione e il marketing e hanno pure realizzato grossi investimenti nel settore per produrre vino in joint venture con imprese locali, accaparrandosi larghe fette di mercato. I cinesi non hanno tradizione enologica, i vini per loro sono un mondo tutto da scoprire. L’appeal del made in Italy è forte anche in Cina, ma bisogna investire in termini di promozione e marketing, oltre che di relazioni e di formazione degli operatori e dei consumatori per ottenere risultati duraturi. Grazie all’esperienza maturata fin dal 1998 con Vinitaly in the World, Veronafiere ha acquisito una conoscenza piuttosto approfondita delle dinamiche di questo mercato. Innanzitutto c’è da dire che il consumo di vino è concentrato nelle tre principali città Shanghai, Pechino e Canton, con i vini italiani che transitano soprattutto attraverso il canale Ho.Re.Ca di alta gamma; c’è poi Hong Kong, che pur essendo un mercato molto ricco e più raffinato del resto del paese, è importante per essere il primo hub commerciale per i vini in Asia, basti pensare che solo qui il volume dell’export italiano è stato nel 2011 di oltre 22 milioni di euro, contro i poco meno di 67 del resto della Cina. Dai nostri primi eventi promozionali sul mercato cinese abbiamo visto dei cambiamenti nel gusto dei consumatori man mano che cresceva la loro conoscenza del prodotto. Si parla del gusto di un numero di consumatori tutto sommato piccolo, potenzialmente una sessantina di milioni di persone con reddito medio-alto, rispetto al totale della popolazione, ma che cresce progressivamente. Solo l’import dall’Italia è salito nel 2011 del 35% in termini di volumi (quasi 31 milioni di litri) in Cina e del 6% ad Hong Kong (poco meno di 3 milioni di litri) e questa positiva progressione del nostro export è confermata anche nei primi sei mesi di quest’anno con un +16% in Cina, sempre in termini quantitativi, e un +40% a Hong Kong. In generale, comunque, i consumatori di vino in Cina sono soprattutto giovani adulti anche donne, con buon livello culturale. Questi si dividono grosso modo in due categorie: quelli che hanno un tenore e uno stile di vita di stampo occidentale, che iniziano ad avere una cultura del vino, che scelgono una bottiglia anche come status symbol e per questo sono disposti a spendere molto; poi ci sono quelli che non possono permettersi etichette molto costose e che puntano più sull’immagine della bottiglia, meglio se appariscente. Come dicevo, fin dal 1998 Vinitaly organizza ogni anno in Cina eventi promozionali per far crescere l’immagine dell’Italia enologica come Sistema Paese, offrendo agli imprenditori una piattaforma integrata per la promozione delle imprese italiane sfruttando il cappello di un marchio conosciuto in tutto il mondo come quello di Vinitaly. E’ di questi giorno l’ultima iniziativa, con Vinitaly China tenutosi dall’8 al 10 novembre ad Hong Kong, diventata nel tempo, per le sue caratteristiche di porta commerciale verso il resto dell’Asia, una delle mete preferite delle nostre azioni promozionali. È dell’aprile scorso, in occasione dell’ultima edizione di Vinitaly a Verona, la firma dell’accordo con l’Hong Kong Trade Development Council (HKTDC), organizzatore dell’International Wine & Spirits Fair, il più importante evento dedicato al vino del continente asiatico. Si tratta di un accordo di cooperazione con il quale l’HKITD riconosce Vinitaly quale partner ufficiale per la promozione del vino italiano ad Honk Kong ed è stato l’evoluzione di quelli firmati nel 2010 e 2011 che hanno permesso all’Italia lo scorso anno di essere paese partner all’International Wine & Spirits Fair con oltre 200 espositori e 1.500 vini presenti. Per promuovere l’immagine del vino italiano puntiamo sull’interattività e sulla comunicazione a 360°, per mettere le aziende che parteciperanno a Vinitaly China in connessione con operatori e consumatori durante la manifestazione, ma soprattutto nel post-evento, con report completi a consuntivo. Vinitaly Tour è presente sui maggiori social media, da Twitter a Facebook, Linkedin, Youtube e, novità assoluta, siamo presenti anche su Weibo, cioè il corrispettivo cinese di Twitter”.

 

 

 

Massimo Tonini
Direttore Export di Santa Margherita Gruppo Vinicolo

“La Cina è un mercato dal quale non si può prescindere,
ma il “sistema Italia” sconta
ritardi e difficoltà di sviluppo

“Data la dimensione geografica del mercato cinese e la difficoltà nel trovare controparti capaci di lavorare con brand di fascia alta, si è iniziata tre anni fa una collaborazione con un importatore e distributore su scala nazionale, con base nel Guangdong e uffici di rappresentanza sia a Pechino che a Shanghai. La scelta si è rivelata positiva, ma a distanza di tre anni – forti di un portafoglio articolato su più segmenti e regioni/denominazioni – si sta pensando di mantenere e sviluppare i brand chiave Santa Margherita, Ca’ del Bosco e Lamole di Lamole con l’attuale partner, cercando invece altri prospect per quei marchi non ancora rappresentati o non propriamente aderenti al portafoglio ed al profilo distributivo dell’attuale partner. La Cina rimane comunque una grande opportunità in prospettiva, se non altro per il numero di abitanti e per la crescente quota di expats e di “nuovi ricchi”, quelli che per intenderci puntano ad uno stile di vita più occidentale. E’ comunque oggi molto difficile solamente immaginare delle “Little Italies”. in quella che è in realtà una grande Chinatown, pertanto si tratta di un mercato che è ancora agli albori per quel che riguarda l’Italia del vino. La chiave di volta potrebbe arrivare dallo sviluppo virtuoso della ristorazione italiana, che oggi è limitata a pochi ed esclusivi locali o all’hotellerie internazionale. Il “sistema Italia” dovrebbe da un lato “esportare” giovani imprenditori della ristorazione e dall’altro “importare” turisti cinesi di qualità per fungere da stimolo rispetto all’italianità ed al food&wine in particolare. La cucina cinese rimarrebbe comunque molto affascinante ed il potenziale di abbinamento cibo-vino sarebbe immenso, ma purtroppo – o per fortuna – rimangono delle barriere culturali che impongono il the nella maggior parte delle occasioni conviviali. E’ certo che affrontare un mercato così grande non è affatto semplice. Gli importatori/distributori di livello sono pochi e con portafogli già articolati. Non dimentichiamo che a livello di consumi il vino domestico pesa ancora tantissimo, nell’ordine del 90%, e che l’Italia sconta un ritardo di sviluppo rispetto alla Francia, che rimane saldamente il primo partner commerciale per il vino importato, seguita dall’Australia, che pesa più o meno il doppio dell’Italia, mentre noi ci giochiamo il bronzo con Spagna e Cile. I consumi sono fortemente sbilanciati verso i vini rossi oppure verso i vini dolci, il che limita non poco le opportunità di sviluppo. Inoltre, trattandosi di un nuovo mercato, il fenomeno del consumo ostentativo ed un po’ “ignorante” – ho visto con i miei occhi miscelare vino e cola, accompagnato da una sigaretta – rimane una peculiarità di questo mercato. La Cina è comunque un mercato dal quale non si può prescindere, nonostante il “sistema Italia” sconti dei ritardi e delle difficoltà di sviluppo, non ultimo il fatto che le insegne della distribuzione nazionale sono completamente assenti (ma questo è un fenomeno che non riguarda solo la Cina). Il rischio più grande è quello di sovrastimare il mercato, almeno finché le condizioni non cambieranno”.

 

 

Attilio Scienza
Presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia, Disaa,
Università degli Studi di Milano

 “Amicizia e fiducia reciproca
sono le basi su cui i cinesi fondano
i loro scambi commerciali”

“In Cina il vino ha una storia dalle radici ben più lontane rispetto all’Europa. E’ un alimento di tradizioni antichissime, per il quale i cinesi hanno una grande passione. La differenza, se vogliamo, è che lì è sempre stato bevuto con un forte contenuto di ritualità, diverso rispetto alla laicità del bere di noi europei; rappresenta un vero e proprio simbolo della festa in famiglia, durante la quale viene servito su un cratere al centro della tavola e versato ai commensali con un mestolo. Per questo viene preferito il vino rosso, carico di significati legati al colore del sangue. Il vino ha anche un aspetto culturale e sanitario, molto diverso dal nostro. I cinesi bevono soprattutto perché fa bene, ritenendo il vino una grande medicina. Solo alla fine degli anni Cinquanta nel paese si è iniziato a bere il vino nello stesso modo in cui lo facciamo noi, grazie soprattutto ai francesi che per primi hanno intuito le potenzialità di quel mercato. E sono stati anche i primi ad organizzare scambi culturali, in cui tecnici vinicoli cinesi sono stati mandati a studiare enologia in Francia, per cui il vino in Cina è diventato presto strettamente legato alla cultura francese. In anni recenti, grazie anche all’arricchimento di un numero sempre più grande di cinesi, il vino è diventato un simbolo di lusso e prestigio. Apprezzatissimi sono in particolari i vini di Bordeaux, che alle aste di Hong Kong vengono acquistati a cifre enormi. Sono questi i vini “must”, quelli considerati più preziosi, assieme ad una decina di italiani, in particolare Sassicaia, Ornellaia e Gaja. Mi è capitato, ad esempio, di vedere in un negozio di specialità alimentari a Pechino un Sassicaia legato con catena e lucchetto. Per quello che riguarda invece la produzione, i cinesi sono orientati sui vini alla bordolese, coltivando soprattutto a Cabernet sauvignon, a Merlot o a Syrah, e grande successo sta ottenendo anche l’ibrido francese Vidal. In poco tempo di questo vitigno, utilizzato per produrre un Eiswine, sono stati piantati circa 10.000 ettari nel nordest del paese. Non amano, invece, né i vini bianchi né gli spumanti, ma al contrario stanno dimostrando un grande interesse per i vini dolci. In questi ultimi anni i cinesi si sono accorti che il panorama del vino è molto più ampio e stanno cercando di uscire in qualche modo dal “giogo” francese. La Francia resta comunque il primo importatore di vino in Cina, seguita da Australia, Cile e Argentina. L’Italia è al quinto posto. Bisogna però considerare che il vero mercato non è tanto Pechino, ma le oltre 40 città del paese che hanno un milione di abitanti. E lì che bisogna concentrare i maggiori sforzi. Per fare affari con i cinesi, però, bisogna iniziare ad instaurare un rapporto di amicizia e fiducia reciproca, che sono le base su cui i cinesi fondano i loro scambi commerciali. A questo proposito, come Facoltà di agraria di recente abbiamo organizzato un’iniziativa assieme all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige che riguarda sia lo studio di nuove varietà di vite da impiantare in Cina, clonando vitigni autoctoni italiani visto che i cinesi sono molto interessati a fare il vino con le loro varietà, che lo scambio di studenti e materiali. Inoltre abbiamo stilato una convenzione che riconosce i titoli di studio enologici fra Cina ed Italia. Insomma, la Cina è sì un grandissimo mercato, da non sottovalutare, ma va affrontato con cognizione di causa e soprattutto in modo omogeneo, come fanno i francesi, e non singolarmente come invece fanno le aziende italiane”.

 

 

Giovanni de Sanctis
ex responsabile IPR Desk a Pechino
del Ministero dello Sviluppo Economico Dipartimento per l’Impresa e l’Internazionalizzazione – Direzione Generale Lotta alla Contraffazione

 “In Cina esiste un’altissima frode
e speculazione sul vino,
in particolare europeo”

“Il settore vinicolo sta avendo in Cina un fortissimo sviluppo e lo dimostra la crescita in modo esponenziale delle importazioni, anche di vini italiani. Di pari passo c’è la ricerca da parte di investitori cinesi di acquistare intere tenute vinicole all’estero, anche qui in Italia. Dietro queste strategie c’è una duplice motivazione. Dapprima la grande richiesta di vino del mercato cinese, che non può essere sopperita con la sola produzione locale, per mancanza di tempi sufficienti e conoscenze opportune; i cinesi, infatti, mancano ancora di capacità ed esperienza nel settore. Inoltre, c’è un’altissima frode e speculazione sul vino, in particolare quello europeo. Spesso si spacciano vini per quello che non sono: le etichette non corrispondono e sono talvolta finanche scritte in modo errato. Ad esempio, si stima che ogni cinque bottiglie di vino apparentemente francese, che oggi occupa la maggiore fetta del mercato, ben quattro sono false e c’è addirittura un fiorente mercato nero di bottiglie vuote. Recentemente mi è capitato fra le mani un Bordeaux che dentro conteneva solo una trascurabile parte di vino. I casi sono diversi: può succedere che dento la bottiglia non ci sia in effetti del vino, o che ci sia anche del vino, oppure che ci sia vino ma non quello indicato sull’etichetta. Per evitare questo genere di problemi è importantissimo tutelarsi preventivamente, facendo tesoro delle esperienze già maturate dai francesi. Registrando i marchi aziendali e quelli di prodotto, ossia le etichette, nonché eventuali confezioni o contenitori particolari ed il materiale informativo-promozionale. Non costa molto, ma certamente costerà di gran lunga di più in futuro non averlo fatto. Inoltre, bisogna seguire costantemente il mercato. Le aziende strutturate hanno già chi in loco si occupa di monitorare il mercato con attività di promozione, divulgazione e anche informando ed educando i cinesi al vino, visto che su questo hanno ancora una scarsa cultura. Deve essere una sorta di sentinella del mercato, visitando le fiere di settore, i centri commerciali ed i ristoranti. E’ anche possibile sfruttare il difficile momento dei vini francesi, che da qualche anno stanno progressivamente riducendo la loro quota di mercato a causa dei troppi falsi in circolazione e dell’agguerrita concorrenza del vino di altri paesi, e gli italiani potrebbero beneficiarne. Già oggi sta crescendo notevolmente il fatturato delle aziende italiane in Cina, che è raddoppiato dal 2010 al 2011 e si stima un ulteriore raddoppio nel 2012. Le prospettive, quindi, sono più che rosee, anche se è da considerare che in Cina funzionano bene aziende che dispongono di grandi numeri. Le piccole potrebbero trovare difficoltà, soprattutto nel reperire dei distributori adeguati. Un altro dei rischi, per il vino non imbottigliato, è che venga “tagliato” dai cinesi e rivenduto, magari allo stesso prezzo di quello originale, con grave danno d’immagine per l’azienda. Come normative relative al controllo di qualità i cinesi sono a dire il vero molto sensibili. Ma tutelare la propria immagine è essenziale: il cinese compra in base a quello che vede, non al contenuto del quale stenta a riconoscere il valore e le peculiarità. Per i cinesi ormai il vino è una bevanda di status, soprattutto se d’importazione, anche a causa del prezzo elevato causato in parte dai dazi di cui è gravato. Fra il 2011 ed il 2015 è stato previsto il raddoppio del consumo di vino in Cina con l’aumento di quattro volte di quello estero. E’ di fondamentale importanza, quindi, tutelarsi in modo totale e monitorare localmente il mercato. Ultimo consiglio: la Cina è un mercato vasto e molto dinamico, è bene che gli italiani abbandonino la loro mentalità campanilistica. Non ha senso presentarsi come singoli. Meglio sarebbe consorziarsi presentandosi come “sistema paese” o, almeno, “sistema regione”.

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Paolo Colombo

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