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Le Calandre: un carta da primato

tullio2 di Mario ReggianiSe su Google cercate “carta dei vini” il primo risultato che appare è quello del Ristorante tristellato “Le Calandre” di Max e Raffaele Alajmo. E non è certo solo per un buon lavoro di posizionamento sul web. Il locale padovano è da sempre un punto fermo nell’alta ristorazione veneta e la sua carta dei vini, disponibile anche per tablet, è all’altezza di questa fama. Per raccontarci la sua genesi e le sue qualità abbiamo coinvolto il sommelier Tullio Moressa, con passate esperienze lavorativa presso la gastronomia Peck di Milano e l’azienda distributrice di vini del territorio “Les Caves De Pyrene” e da gennaio responsabile vini per tutti e sei i locali targati Alajmo.

“La nostra carta ospita più di 1000 etichette – spiega Moressa –, al 60% nazionali, distribuite fa bollicine, bianchi, rossi con prevalenza delle prime. La cantina si è lentamente sedimentata nel tempo considerando alcune linee guida principali: la tipologia della clientela che frequenta il ristorante, estremamente eterogenea ma attenta ed esigente, la peculiarità della cucina di Massimiliano, anch’essa poliedrica ed in continua evoluzione. Infine, abbiamo pensato anche a noi, così pian piano sono arrivate anche le cose che ci piacciono, cercando di dar voce a chi non ne ha, in particolare ai piccolissimi artigiani, italiani soprattutto. Non mancano le “etichette di riferimento”, vedendole il cliente si rassicura, sa di potersi rifugiare, poi spesso si affida e, di buon grado, accetta il suggerimento”. Con che filosofia è stata realizzata? “La stessa della cucina di Massimiliano, creando un continuo fra la cucina e la sala. Tutto parte dalla ricerca della materia prima di qualità, dagli ingredienti, in cerca di leggerezza, profondità e fluidità. Tuttavia è anche una carta pragmatica, ci deve far lavorare senza pensieri. I clienti vengono per godersi lo spettacolo della cucina e noi cerchiamo di assecondarlo. Pochi estremismi quindi, solo con chi abbiamo confidenza ci permettiamo qualche digressione”.

Come si distingue una carta dei vini di qualità, dalle referenze, dalla profondità o dai prezzi? “Dall’autonomia nella scelta dei prodotti – continua Moressa –, si vede subito se chi acquista conosce i vini o se questi cadono dal cielo. Il numero di referenze è un indice fumoso, spesso si trovano lunghissime liste di cose simili. Il prezzo è poco rilevante, dipende da variabili spesso estranee alla qualità, solo per una piccola parte di clientela, soprattutto straniera, il prezzo è determinante. La profondità delle annate, caratteristica assai importante, è diventata ormai quasi insostenibile, le esigenze economico-fiscali hanno dissuaso anche i più volenterosi”. Ma alla fine, per un sommelier, è un aiuto o un sostituto? “La carta è un codice, sintetico, che ci permette di dialogare col cliente, consente di semplificare il contatto, il lavoro del sommelier è un altro, attende alla psicologia, alla cultura storico-geografica, alla gastronomia in generale, uno strumento non può fare questo”. Quali sono, infine, le differenze fra le carte italiane e quelle estere? “Le nostre sono piene di vini stranieri, francesi soprattutto. Soffriamo, spesso a ragione, la sudditanza dei nostri cugini d’oltralpe, come nel rugby. Nelle loro si fatica a trovare un vino italiano. Il discorso cambia con gli altri paesi, Giappone e Stati Uniti in particolare, dove i nostri vini sono molto amati”.

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Paolo Colombo

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