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Vini bio e naturali, un mondo da scoprire

Vini naturali, vini veri, vini biologici, vini biodinamici. Chiamateli un po’ come volete, ma una cosa è certa: chi si occupa di vino non può certo prescindere da quello che, partito come fenomeno di nicchia, sta pian piano conquistandosi spazio, alle fiere (vedi il ViViT, la rassegna che ha debuttato quest’anno al Vinitaly) come ai concorsi (il più noto a livello internazionale è il Biofach organizzato dalla fiera tedesca Mundus Vini). E lo dicono anche i numeri: 52.812 ettari di vigneti in Italia (dati Sinab 2011), da sempre una delle nazioni ai vertici per l’agricoltura biologica, per un mercato che oggi vale 3 miliardi di euro (sui 40 a livello mondiale), con una fetta consistente di export. E del grande successo se n’è accorta anche la Comunità Europea, che da questa vendemmia permette la dicitura “vino biologico” in etichetta, a differenza del passato in cui era solo permessa la scritta vino proveniente “da uva da agricoltura biologica”. Non che faccia poi una grandissima differenza, anche perché la regolamentazione europea, criticata da più parti, prescrive regole che non sono piaciute soprattutto ai “puristi” (e sono molti) sui coadiuvanti di processo e sulle tecniche che si possono utilizzare e soprattutto sui limiti all’utilizzo dei solfiti (i rossi secchi bio avranno un limite massimo di 100mg/l, per i bianchi secchi bio il limite sarà di 150mg/l). Ma Per caprine un po’ di più sull’argomento, se sia o no un fenomeno di moda o una realtà ben consolidata oppure come venga trattato nel mondo della ristorazione, abbiamo fatto intervenire nel nostro focus quattro personaggi chiave, fra produttori, enologi e ristoratori, nomi notissimi nel mondo dei vini naturali e non. Buona lettura.

 

 

Angiolino Maule
Azienda agricola La Biancara, Gambellara (VI)
presidente VinNatur

“Fondamentale è il legame col mondo scientifico,
visto che il bio moderno vanta
poche esperienze sul campo”

“La situazione attuale dei vini naturali in Italia vede la presenza di tre associazioni, VinNatur, di cui sono presidente, Vini Naturali e la sezione italiana dell’associazione di origine francese La Renaiassance des Apellation Italia. La nostra conta 140 iscritti, provenienti da nove paesi europei, con una grande maggioranza però di aziende italiane, circa 98. Le altre due hanno circa 150 associati ognuna, il che porta circa a 350-400 le aziende che producono vini naturali in Italia. Quello che differenzia VinNatur dalle altre due associazioni è che i nostri associati sono controllati annualmente e che il punto focale riguarda aziende che producono essenzialmente vini di territorio. Inoltre noi abbiamo stabilito da anni un forte legame col mondo scientifico, cosa questa assolutamente necessaria visto che il bio moderno è basato su poche esperienze sul campo. Da questo punto di vista stiamo lavorando molto sullo studio del suolo, sulla sua vitalità e sulla sua fertilità, elementi che hanno un ruolo fondamentale per la produzione di vino senza l’utilizzo di sostanze chimiche aggiunte. Inoltre grande attenzione stiamo ponendo anche sulle malattie delle piante e sulla fermentazione spontanea, con lo scopo di capire meglio cosa accade davvero. Come VinNatur, poi, organizziamo ogni anno una fiera, dal titolo Villa Favorita, che si svolge in contemporanea al Vinitaly, un evento unico nel suo genere che vede presenti produttori selezionati ed invitati da tutta Europa, e un convegno biennale, l’ultimo tenuto a Zurigo ed il prossimo ad Oslo, dove illustriamo a giornalisti ed addetti al settore le nostre idee e la qualità raggiunta dai vini naturali. Possiamo dire che il mondo bio, che negli anni ’90 era praticamente ignorato, mentre negli anni 2000 ha vissuto di una forte discriminazione tanto da venire spesso ridicolizzato, mentre sta vivendo dal 2010 un momento di grande confronto. Ma allo stesso tempo anche di scontro, il che è abbastanza assurdo se vogliamo. Oggi, ad esempio, chi scrive in etichetta “vini naturali” rischia una multa che va 1039 a 3000 euro, com’è successo di recente all’enoteca Bulzoni di Roma. Eppure nei vasetti di yogurt la scritta naturale è presente. Come mai? E’ un problema legislativo, che deriva dal fatto che nella terminologia del vino la parola “naturale” non è contemplata. E non sono certo di aiuto leggi come quella recente europea per la regolamentazione del vino biologico e biodinamico. Che non fa altro che ridurre la presenza dei solfiti e permette di usare in vigna e in cantina anche prodotti di sintesi, pur entro certi limiti come il divieto di usare il diserbante. Il risultato è che vini biologici fatti in questo modo appaiono ancora troppo simili ai vini tradizionali. Il problema è che il biologico sta funzionando molto bene commercialmente e se ne sta accorgendo anche la grande industria vinicola che sta puntando molto su questo. Tantissimi ristoranti di livello mondiale, ad esempio il celebre Noma di Copenaghen, stanno proponendo ormai solo vini naturali. In Giappone e Nordeuropea i nostri vini sono celebrati come vere e proprie “star”. Anche l’Italia, a dire il vero, si sta muovendo molto bene, anzi l’aspetto più positivo è che sono soprattutto le nuove generazioni ad interessarsi molto al naturale. L’età media dei visitatori della nostra fiera Villa Favorita è di 25-40 anni. La nostra associazione è nata anche per questo, come forma di protesta verso un certo modo di presentare il vino biologico in un mercato che lo richiede sempre di più”.

 

 

Elisabetta Foradori
Azienda Agricola Elisabetta Foradori
Mezzolombardo (TN)

“In vigna bisogna saper osservare
e assecondare i cambiamenti,
dandogli poi fiducia nel lavoro in cantina”

“Il percorso dell’azienda di cui sono titolare nasce soprattutto da un mio bisogno interiore di avvicinarmi di più alla natura. Ho studiato enologia a San Michele all’Adige e nell’84, a soli 19 anni, ho dovuto prenderne in mano le redini dopo la scomparsa di mio padre. Si tratta di un’azienda a carattere familiare, fondata già ai primi del ‘900, che da sempre ha puntato la sua produzione sul vitigno autoctono teroldego. Il grande boom dei vitigni internazionali l’ha messa un po’ in crisi, visto che questo vitigno allora era praticamente sconosciuto ai più. Ho quindi iniziato ad apprenderne meglio la tecnica di produzione, partendo praticamente da zero, visto che la morte improvvisa di mio padre non ha consentito una precisa trasmissione delle sue conoscenze. Una risalita si è avuta verso il 1999-2000, con la valorizzazione e riscoperta dei vini territoriali, che ha permesso ai nostri vini di ottenere un buon successo sul mercato in termini d’immagine. Nonostante questo cominciavo a provare un po’ di stanchezza e tutto mi appariva un po’ staccato da me stessa. Sentivo l’esigenza di cambiare, di cercare qualcosa di diverso. Così, inizialmente grazie al mio ex marito, grande amante della natura, mi sono avvicinata alla biodinamica. L’ho vista da subito come una scelta in grado di aprirmi ad aspetti più astratti e spirituali, in una sorta di rifiuto della pura materialità. Ripensandoci è stata una scelta di pancia, forse in qualche modo legata anche al mio essere coltivatrice donna. Ho quindi appreso i rudimenti da un enologo francese, il produttore alsaziano Marc Kreydenweiss, tramite un percorso fatto di piccoli passi, sia in vigna che in cantina, imparando spesso ad accettare anche errori e fallimenti, perché il processo di vinificazione è in realtà una sorta di morte e rinascita. Ormai da 12 anni coltiviamo seguendo i dettami del biodinamico, ma ancora oggi assimiliamo ogni giorno qualcosa di nuovo. Per dare un’idea di quanto tempo si debba dedicare, solo nel 2009, dopo quasi dieci anni di prove e tentativi, posso dire di essere arrivata ad ottenere quello che volevo, ossia un vino con una sua energia interiore. Sono quindi più che soddisfatta di essermi voluta rimettere in gioco. Anche perché questo modo di lavorare ti permette di essere più creativo, cosa ormai scomparsa nella viticoltura industriale di oggi. Non ho un calendario preciso, ogni singolo giorno, camminando fra le vigne, studio ed osservo le piante, cercando di imparare a percepire i loro cambiamenti. La parte più difficile resta quella del lavoro in cantina, dove i processi che vi si svolgono ancora oggi non cessano di stupirmi. Ed è molto bello e soddisfacente, poi, quando riesco a trasmettere questo stupore anche agli altri, a chi beve i miei vini. Perché vuol dire che ne riconoscono la vita che c’è dentro. Certo, l’intervento dell’uomo resta fondamentale nel dare un’impronta precisa al carattere del vino, ma solo a patto che si sappia sempre ascoltare ed essere presenti in vigna. Bisogna saper accompagnare il vino con umiltà, assecondandone il carattere e aggiungendo un pizzico della propria creatività. Ma non basta un vino che abbia una buona qualità in vigna, va poi seguito anche in cantina, dandogli fiducia. Il risultato è vino che deve saper parlare sia di territorio sia del lavoro dell’uomo che si sta dietro. Inoltre, deve far stare bene chi lo beve. E’ vero, oggi si parla tanto dei vini naturali, ma si tratta di un fenomeno ancora ristretto, che per fortuna si sta aprendo. E’ un movimento partito dal basso, dai contadini e dai consumatori, che si sta diffondendo anche nel mondo della ristorazione. Il fatto che si stia ampliando a macchia d’olio, penso sia solo per una questione banalmente commerciale. E’ un movimento lento e non per tutti”.

 

 

Pierluigi Portinari
Ristorante La Peca
Lonigo (VI)

“C’è grande interesse sia nei consumatori
che nei ristoratori verso questo tipo di vini,
la cui qualità è in aumento”

“Siamo stati fra i primi ristoranti a proporre una lista di vini naturali sulla nostra carta, con circa 150-200 referenze fra Italia ed estero. In realtà non li chiamiamo né biologici, né biodinamici, né naturali, perché sono parole che non hanno molto significato in realtà, ma vini “fuori dal coro”. Il motivo di questa scelta è che personalmente mi ero stancato dei soliti vini omologati, sempre uguali a se stessi e senza alcuna fantasia. Non mi soddisfacevano e avrei preferito proporre qualcosa di nuovo, magari anche con qualche difetto, purché non troppo evidente, ma almeno originale e con caratteristiche che li rendessero unici. Fra l’altro il livello di questo tipo di vini è molto migliorato di recente. nei consumatori e soprattutto nei nostri clienti, c’è molto interesse verso i vini naturali, sono disposti a fare esperienze nuove e diverse dal solito. E’ una tendenza che si estende anche al cibo, con la ricerca di piatti con sempre meno grassi ad esempio. Poi bisogna considerare che fare il vino naturale, ma che lo sia davvero, non è certo semplice. Ma se è fatto con qualità è sicuramente molto apprezzato. A Parigi, ad esempio, oggi si chiedono quasi esclusivamente questo tipo di vini. Vanno moltissimo nei ristoranti, anche in quelli più rinomati. Non credo quindi che si tratti solo di una moda passeggera, ma piuttosto di un fenomeno culturale destinato a rafforzarsi sempre più. I consumatori si dimostrano molto curiosi verso questo tipo di vini, pur essendo la loro presenza ancora limitata. Nella nostra carta coprono appena il 10% del totale, perché in ogni caso dobbiamo proporre anche il resto, se viene richiesto. E’ vero però che questa forte richiesta sta portando anche ad una certa speculazione. Gli enti certificatori della qualità, ad esempio, sono formati dalle stesse aziende che li producono, creando così un circolo vizioso che fa venire qualche dubbio sulla loro reale autenticità. L’unico modo per distinguere i vini naturali di qualità da quelli che non lo sono è di assaggiarli, di provarli. Se il lavoro in vigna ed in cantina è svolto bene ed il vino ha una sua personalità, allora troverà sicuramente il suo spazio. La parola “naturale” in realtà non ha alcun significato, quello che conta davvero è che il vino abbia un suo carattere e io credo che siano molte le aziende che sappiano infonderlo molto bene. Nei miei incontri con colleghi vedo comunque sempre un maggior interesse verso questi vini, come Max Bottura della Francescana ad esempio. Inoltre trovo che questi vini si abbinino perfettamente a certi piatti, anzi quasi spontaneamente direi”.

 

 

Federico Giotto
Giotto Consulting
Follina (TV)

“Un bravo produttore o un bravo enologo
è colui che sa valorizzare ciò che è buono
e diverso per natura”

“Probabilmente il termine “naturale” per definire un vino non è il più appropriato, anche perché tutti i vini, in fin dei conti, possono essere definiti “naturali”. Ma allo stesso tempo nessuno lo è davvero del tutto, perché la vite è da sempre una pianta antropizzata, si pensi ad esempio all’uso dei porta innesti. Il principio fondamentale è piuttosto la Naturalità, ossia esaltare ciò che è buono e diverso per natura, con un minor utilizzo di qualsiasi apporto chimico e di tecniche invasive. Bisogna, quindi, cercare di esaltare questa diversità, producendo vino nei termini più naturali possibili e più legati ai cicli naturali. E’ da sottolineare che queste pratiche devono essere considerate un punto di arrivo e non un punto di partenza. Per fare un buon vino, quindi, bisogna partire innanzitutto dalla materia prima, ma con una grande capacità di controllare poi l’intero processo produttivo, perché ovviamente c’è sempre il rischio di incorrere in problemi anche gravi. Essenziale è l’apporto della ricerca altrimenti si ricade nell’empirismo o si è costretti a ricorrere all’utilizzo della chimica per evitare di buttare via tutto il raccolto. Credo che, invece, si debba sempre puntare sui vini della cosiddetta “terza B”, che vuole dire che, oltre a produrre secondo i dettami del Biologico e del Biodinamico, bisogna anche saper usare il Buon senso. All’interno del concetto di vino naturale si devono valorizzare tutti gli aspetti della natura ma anche il lavoro dell’uomo, arrivando così ad un corretto approccio nel rapporto scambievole fra natura ed uomo E’ vero che non esiste un vero e proprio disciplinare che racchiuda i vini naturali e che le certificazioni tendono spesso ad immobilizzare più che a proteggere. Diventa quindi fondamentale quantomeno fissare i principi di questi vini che garantiscano il consumatore stesso dai furbacchioni di questo settore. Il futuro dei vini naturali quindi è estremamente positivo, ma solo se ci sarà da parte dei produttori stessi il coraggio di voler lavorare sempre al meglio e senza inutili estremismi. Anche i gusti cambiano: oggi il consumatore è più predisposto a riflettere su ciò che mangia e che beve. Del resto così facendo non fa altro che investire su qualcosa che lo tocca direttamente, che diventa parte della persona stessa, ossia il cibo. Per questo verrebbe da chiamare questi vini “organici”, se solo non si confondesse con il termine inglese per Biologico. Organico nel senso di avere più rispetto per l’ambiente e più rispetto per il carattere del vino. Puntando sul concetto di valore, più che sul concetto di prezzo. I vini naturali possono quindi essere legati ad una somma di valori etici, ambientali e del valore delle persone che ci lavorano. L’unico problema che resta da risolvere sono le grandi differenze che ancora ci sono fra i naturalisti per piccole cose. Sono sempre più convinto che i produttori di vini biologici e naturali debbano prendere seriamente in considerazione la reale sostenibilità delle loro azioni nel lungo periodo. Un bravo produttore o un bravo enologo è colui che sa valorizzare ciò che è buono e diverso per natura senza l’uso di artifizi che tendono a racchiudere il vino all’interno di schemi prefissati ma piuttosto di farlo esprimere nella sua totalità, e questo non può che non avvenire in un’ottica di totale rispetto: parlare di naturalità significa prima di tutto riconoscere che esiste un rapporto di equilibrio, fatto di prendere e di dare tra l’uomo e l’ambiente circostante, un arricchimento reciproco, senza del quale, sarà unicamente demagogico definire il nostro vino Bio qualcosa… ”.

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Paolo Colombo

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